Storia di un’opera tra l’effimero e l’eterno: Mario Botta e Francesco Borromini

08.02.2021

di Genny Atzeni

Una delle tematiche più frequenti nel dibattito sull'arte contemporanea e dei movimenti del '900, è costituita dalla "installazione". L'installazione è divenuta uno dei linguaggi più proposti dagli artisti per rappresentare la propria poetica e concettualità. Il fenomeno è in continua evoluzione e si autodefinisce nel coinvolgimento del contesto, inteso come spazialità e temporaneità, in grado di dialogare con il pubblico in modo teatrale e spettacolare.

In questo articolo intendo raccontare un'opera, progettata dall'Arch. Mario Botta nel 1999, che si colloca come momento di estrema sintesi tra le varie forme linguistiche dell'opera d'arte, l'architettura e la scultura.

Nel 1999, in occasione del quadricentenario della nascita di Francesco Borromini, nato a Lugano nel 1599, Botta fu chiamato ad ideare un segno celebrativo del grande architetto seicentesco. L'idea di Botta fu tanto audace quanto geniale: riprodurre in scala reale uno spaccato della Chiesa del San Carlo alle Quattro Fontane di Roma, opera barocca giovanile del Borromini. La costruzione, realizzata in tasselli di legno modulari, poggiava su una piattaforma galleggiante sulle rive del Lago di Lugano. Doveva durare sei mesi e poi essere smontata alla fine delle celebrazioni, ma il successo di pubblico e visitatori fu tale che venne mantenuta per oltre tre anni. Smontata nel 2003 e conservata in attesa di una ricollocazione permanente, andò purtroppo distrutta da un incendio.

Si può considerare, dunque, come un'opera di architettura ma anche una scultura e al contempo installazione. Delle tre arti, infatti, condensa i principali mezzi espressivi e realizza una sintesi perfetta del loro potere evocativo.

Botta realizza uno spaccato della Chiesa, la apre come un frutto, vuole indagarne i semi, capire se e come l'idea di spazio posseduta dal Borromini sia stata generata dai luoghi in cui è nato e ha vissuto, idea che a sua volta ha generato una spazialità originale mirabilmente inserita in un tessuto storico come quello romano.

Ma cosa hanno a che fare le onde agitate del mare barocco con la calma immobile di un lago, con il suo silenzio, con il nitore, la precisione di una località svizzera tra i monti?

Un'opera barocca non è mai silenziosa: vi si contempla una conversazione continua e animata tra architettura, scultura, decorazione, esterno e interno, piccolo e grande, dettaglio e complessità, e un moto ininterrotto di curve e volute.

Intanto l'opera, trasportata dalla pienezza romana, dalla opulenza di palazzi e fontane al vuoto sobrio di una vallata tra i monti, si placa e sta. Bella, si specchia a suo agio su quelle acque abituate a rispecchiare tutto, consapevole della sua precarietà.

Il suo infelice destino le regala un tocco di mitologia, funge da insegnamento sull'eterno e l'effimero e una volta mostrato il suo seme ridiventa frutto, pronto a richiudersi nella sua completezza.

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