Piero Guccione: il fascino del mare, dal visibile all’astrazione…
di Francesca Callipari
"Io sono un visivo […]. Parto da una emozione che via via si amplifica. Poi si aggiunge un lato riflessivo, per cui si aggiunge un elemento, dei contenuti particolari legati al territorio, alla società, al senso generale della vita. La base fondamentale che mi fa partire è sempre il rapporto con la visibilità, cioè su quello che il mio occhio, il mio cuore, la mia mente percepiscono della realtà".

Così si esprimeva in una intervista l'artista Piero Guccione, sintetizzando in poche parole il nucleo centrale della sua poetica pittorica, quell'elemento unico ed indispensabile che ha reso la sua arte potente ed evocativa, capace di riconciliare l'astante con il proprio "Io".
Nato in provincia di Ragusa, a Scicli, tra i più importanti artisti del Novecento italiano, fu figura di riferimento dello storico movimento denominato "Gruppo di Scicli"; colui che seppe innovare e reinterpretare l'arte figurativa, lasciando un'eredità pittorica, ricca e complessa, pregna della sua visione filosofica sulla vita e sul mondo, in grado di rappresentare una perfetta sintesi tra figurazione e astrazione.
Partendo da elementi più vicini all'impressionismo, il suo interesse si spostò gradualmente verso un ambito espressionista, approdando a quella che, ancora oggi, è unanimemente riconosciuta come la sua cifra stilistica, basata sulla realtà quotidiana congiunta alla sua parte più intima ed emotiva.
Pittore del visibile e della luce, Guccione raffigurò tutto ciò che colpì la sua curiosità e la sua sensibilità: dai muri di cinta e le antenne fino alle celeberrime vedute marine, giungendo a dipingere non un mero paesaggio ma piuttosto uno stato d'animo, oltrepassando l'utopico confine dell'orizzonte per rappresentare l'infinito e le sue emozioni.
Trasferitosi a Roma nel 1954, entrò in contatto con diversi pittori neorealisti tra i quali in particolar modo Renzo Vespignani e Renato Guttuso, diventando ben presto assistente di quest'ultimo presso l'Accademia di Belle Arti di Roma. Nella Capitale intraprese la propria ricerca artistica, elaborando una serie di opere sul tema del paesaggio urbano, quali "i Balconi", "i Giardini" e le immagini di paesaggi riflessi su carrozzerie di automobili. Contraddistinte da un taglio assolutamente originale, nonché da pennellate decise e consistenti improntate su linee orizzontali e verticali, le opere di quel periodo si rivelavano stilisticamente vicine a quelle di artisti come Cézanne, Bonnard, o Morandi, evidenziando già il talento di questo straordinario artista.
Negli anni '60 si dedicò poi al ciclo "Attese di partire", una riflessione di stampo metafisico-hopperiano sulla silenziosa malinconia dell'essere umano all'interno di una realtà sospesa con personaggi ritratti all'interno di un aeroporto. Sempre in quegli anni, precisamente nel 1966, fu invitato per la prima volta ad esporre alla Biennale Internazionale d'Arte di Venezia, tornando per altre cinque volte dal 1972 fino al 2011. Parallelamente a queste esperienze l'artista realizzò alcuni cicli a pastello dedicati all'albero di carrubo e ai monti Iblei e la serie dei d'après, nella quale, andando oltre il semplice omaggio, si confrontava con i grandi maestri del passato, da Masaccio a Francis Bacon, mantenendo comunque il proprio segno espressivo con l'intento di esprimere le emozioni da lui provate nella visione di questi capolavori.
Tuttavia, fu a partire dal 1979, con il rientro in Sicilia in una casa-studio nella zona di Modica, che la sua arte mutò concretamente, facendo emergere quello che fu il tema prevalente della sua produzione. Interessato a cogliere le vibrazioni e le molteplici variazioni cromatiche del mare, riuscì a dar vita a dipinti capaci di generare una suggestione quasi "mistica". Dapprima ritratto insieme ad altri elementi, il mare divenne a poco a poco protagonista assoluto, trasformandosi in una vera e propria metafora della vita e delle umane sensazioni.
Atmosfere rarefatte che l'artista immortalava nelle sue opere, quasi come se volesse bloccare per sempre qualcosa che è per natura in continuo movimento come la stessa esistenza. Opere contrassegnate da una ricerca spasmodica della luce strettamente connessa all'immagine dell'orizzonte che da sottile linea di confine assurgeva a metafora della finitezza dell'essere umano. Come affermava lo stesso artista: "l'orizzonte, è difatti, una cosa infinita che cambia continuamente, ma che fisicamente non esiste." È il punto verso il quale volge lo sguardo dell'astante alla ricerca di quella delimitazione, che sente necessaria, tra il reale e l'oltre. La pittura di Guccione ci pone, invece, di fronte ad una realtà illimitata, attraverso una pittura quieta che ci attrae e ci destabilizza con la sua intensa luce azzurra, tra un'aura di mistero e un senso di vuoto.
Un "non-luogo" da contemplare, che ci permette ancora oggi, di soffermarci in una silenziosa riflessione sui nostri limiti, compiendo un viaggio all'interno del nostro inconscio attraverso la visione di qualcosa che non è semplicemente mare ma vita, morte e rinascita al tempo stesso.
*articolo pubblicato in "Atlante dell'Arte contemporanea", Giunti editore, 2024.