Le ceneri dell’Occidente: Warhol e De Chirico

30.03.2021

di Antonio Martone

Andy Wahrol non mi emoziona affatto. Eppure, non posso fare a meno d'essere colpito da quelle sue immagini serigrafate all'infinito: diciamo allora che ne sono filosoficamente impressionato. Nelle sue opere, non soltanto la mera immagine sostituisce l'essenza autentica dell'individuo (ciò che la pittura classica cercava di evidenziare attraverso la ritrattistica), ma la stessa immagine non è mai completamente fedele a se stessa. In ogni rappresentazione di Marilyn, infatti, c'è sempre qualcosa che la differenzia dalle altre. E così per Liz Taylor, per Elvis Presley e per tutto il resto. Non è soltanto l'individuo, pertanto, ad essere soppresso, ma è la sua stessa immagine a venir cancellata, resa superflua, infedele a se stessa. Senza alcuna valutazione morale, Andy ha fatto vedere nient'altro che la leggerezza e il radicale disimpegno del nostro tempo. 

Warhol ha reso visibile il senso dell'identità umana nell'epoca in cui essa è impacchettata e consumata come tutto il resto. Si deve concluderne che si tratti di una lode sperticata del consumismo, dell'apparenza, attraverso il rifiuto di ogni profondità? Direi di no. L'artista della superficie, l'apologeta della società di massa, il divulgatore della bellezza insita nel conformismo globalizzato, custodisce un senso filosofico fra i più significativi del nostro tempo. C'è una luttuosità e un senso del tragico in Wahrol di rara intensità - collocata ad un livello difficilmente riscontrabile nell'intera arte contemporanea. La preoccupazione di Warhol - non so quanto conscia - è stata quella di render ragione addirittura del tempo e della caducità. Wahrol, checché ne dicano i critici, è un artista metafisico con un robusto sfondo tragico. L'unico pittore che possa stargli accanto - a mio parere - è il nostro Giorgio De Chirico: pictor mirabilis ed artista ancora figurativo. 

Sono consapevole che una posizione di questo tipo potrebbe apparire sorprendente ma io credo che questi due giganti del '900, benché tanto diversi, siano assimilabili almeno su un punto: in entrambi, il tempo perde la propria capacità ordinatrice e sequenziale, trasformandosi in un luogo nel quale, semplicemente, si raccolgono tracce svuotate di senso - uno spazio laddove il senso, cioè, paradossalmente, è dato dalla sua totale mancanza.

Se l'arte fosse soltanto la rappresentazione dell'atto del "bruciare" nel fuoco vivo dell'emozione artistica, le opere di Warhol e di De Chirico non avrebbero particolare valore artistico. Piuttosto che all'atto del bruciare e del consumarsi, esse si rivolgono invece alla cenere: evocano ciò che rimane quando tutto è consumato. Giorgio De Chirico e Andy Warhol sono autori radicali della fine dell'Occidente.


(testo pubblicato in esclusiva per I Love Italy News tratto dal libro, ancora inedito, del Prof. Antonio Martone dal titolo "Vedere oltre. La mia  storia dell'arte"...)

Si ringrazia il Prof. Martone per la gentile concessione!

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