La letteratura e la trappola del mercato: perché scrivere non è mai solo un atto libero
di Yuleisy Cruz Lezcano

Chi ama davvero la letteratura dovrebbe interrogarsi su un aspetto che, troppo spesso, resta ai margini del discorso pubblico: la scrittura è l'arte più condizionata dai meccanismi della produzione e del mercato. Sembra un'affermazione provocatoria, quasi cinica, ma a guardarla bene, è semplicemente vera. Ed è una verità che dovrebbe farci riflettere ogni volta che parliamo di scrittori, di libri, di talento letterario, o di quell'ideale romantico della scrittura come puro gesto creativo. Perché nella realtà dei fatti, chi scrive non è mai davvero libero.
Se un pianista suona per passione, la sua musica è apprezzata per quello che è: suono, ritmo, emozione. Nessuno pretende che debba esibirsi alla Scala per riconoscergli talento, se un pittore espone i suoi quadri su una bancarella, la sua arte è fruibile in modo diretto, uno a uno: o piace o non piace. L'opera è lì, tangibile, visibile, priva di filtri. La scrittura, invece, non esiste se non passa attraverso una macchina complessa e impersonale: quella dell'editoria. Uno scrittore può avere un talento immenso, ma se non pubblica, non esiste. La sua opera, per esistere davvero nel mondo, deve diventare un libro, un oggetto fisico (o digitale) che circola, che viene venduto, recensito, promosso, premiato, impacchettato, e, addirittura, replicato in centinaia, migliaia, milioni di copie identiche.
Non esiste, nella scrittura, un'opera "per pochi". L'atto stesso di scrivere implica, più o meno consciamente, un pensiero rivolto alla massa. Non si scrive per se stessi, come molti amano ripetere con romantica leggerezza. Si scrive con in mente un editore, un mercato, una concorrenza, una fascia di pubblico. E, soprattutto, dei numeri da raggiungere. A differenza di ogni altro artista, lo scrittore è una figura schiacciata tra produzione e percezione. Il suo successo non dipende solo dalla qualità dell'opera, ma da tutta una serie di fattori collaterali: la fama dell'editore, il marketing del libro, la copertina, i premi letterari, la visibilità in libreria, la posizione sugli scaffali, le recensioni degli influencer culturali. Il lettore si trova raramente a incontrare la scrittura "nuda", senza mediazioni.
Non solo: lo scrittore è l'unico artista che diventa inevitabilmente un marchio, un brand, infatti, il nome conta più dell'opera. Se un libro esce con la firma di un autore già noto, la valutazione è viziata da aspettative, da pregiudizi, da confronti con le opere precedenti. Se lo stesso libro uscisse con un nome sconosciuto, avrebbe un destino diverso. E questo è un meccanismo spietato, ma reale. Chi scrive non può non esserne consapevole. Anche chi rifiuta il mercato, anche chi pubblica in modo indipendente, anche chi si definisce "fuori dal sistema", sa benissimo che sta comunque parlando a un pubblico, cercando uno spazio, una conferma, un riscontro. La scrittura non esiste senza il lettore, ma il lettore arriva solo se prima arriva il mercato.
Tra chi scrive e chi legge, esiste una distanza strutturale, fatta di passaggi, filtri, logiche di mercato. E questo rende la scrittura l'arte meno diretta, meno libera, più condizionata. Si scrive per qualcuno che non si conosce, con la mediazione di tanti altri che plasmano, selezionano, trasformano il testo in oggetto vendibile, ed è per questo che, paradossalmente, nessuno scrittore scrive davvero "solo per passione". Può iniziare così, certo, ma non resta lì, perché per quanto uno possa dire di scrivere per sé stesso, non pubblicherà mai un romanzo scritto solo per sé stesso. Non lo rileggerà ad alta voce in strada, come un ballerino che danza in mezzo a una piazza. La scrittura non vive senza riconoscimento, ma il riconoscimento non arriva dal talento, arriva dai numeri e i numeri, sono spietati.
Postumi? Ma solo se pubblicati
C'è un'altra particolarità della scrittura: gli scrittori dimenticati non vengono scoperti postumi a meno che non siano stati pubblicati in vita. Per un pittore, è normale essere riconosciuto dopo la morte. I quadri esistono, qualcuno li trova, li espone. Per uno scrittore, se il manoscritto è rimasto nel cassetto, è come se non fosse mai esistito. Il valore della sua opera, se non è stata trasformata in "libro", non ha possibilità di emergere. Lo stesso Kafka – ironia della sorte – deve la sua esistenza letteraria al tradimento di un amico che non bruciò i suoi scritti, ma li pubblicò. La letteratura, dunque, non sfugge mai al mercato, e questa è una verità scomoda che dovremmo avere il coraggio di guardare in faccia. Non per cinismo, ma per consapevolezza.
La domanda finale è: come si scrive, oggi, in un mondo in cui la scrittura è schiava della produzione? Come si può coltivare un talento letterario autentico senza essere fagocitati dalla logica dei numeri, dei premi, delle vendite? Non è facile. Serve coraggio, lucidità. Serve, forse, anche un po' di incoscienza, ma soprattutto serve una nuova cultura del lettore: più attenta, più curiosa, più disposta ad andare oltre la copertina, il marchio, il passaparola. Una cultura che scelga di leggere per il piacere di scoprire, e non solo per aderire a un trend. Solo così possiamo sperare di liberare – almeno in parte – la letteratura dalla sua gabbia.