L’acqua: croce e delizia di un popolo, elemento “simbolo” alla base della letteratura alvariana.

03.01.2021

di Beniamina Callipari

Avevo passato dieci anni in quel mucchio di case presso il fiume, sulla balza aspra circondata di colli dolcissimi digradanti verso il mare, i primi dieci anni della mia vita, e pur essi furono i miei più vasti e lunghi e popolati. Il paese era gramo e povero in confronto alla ricchezza del mondo, e a me pareva il più ricco e il più vario...

Corrado Alvaro

Corrado Alvaro
Corrado Alvaro

Corrado Alvaro e il Bonamico: un rapporto indissolubile... 

Avevo passato dieci anni in quel mucchio di case presso il fiume, sulla balza aspra circondata di colli dolcissimi digradanti verso il mare, i primi dieci anni della mia vita, e pur essi furono i miei più vasti e lunghi e popolati. Il paese era gramo e povero in confronto alla ricchezza del mondo, e a me pareva il più ricco e il più vario: ecco la tenera descrizione di San Luca, il paese natale di Corrado Alvaro, brillante scrittore neorealista, dalle sue vive parole, tratte da "Memoria e vita".

Esso appare aggrappato ad un ripido pendio tra i torrenti Bonamico e Santa Venera, quasi senza strade, perché tali non possono essere definiti i sentieri contorti ed i rigagnoli che dividono tra loro le case; presenta, quindi, un villaggio patriarcale e pastorale con alle spalle un immenso comprensorio territoriale montagnoso ed aspro, ai margini di una delle più terribili fiumare: "il Bonamico", e con pochissimo territorio atto all'agricoltura.

Quasi tutte le opere di Corrado Alvaro partono dal ricordo di intensi momenti di vita vissuta lungo la fiumara o semplicemente dalle tante piccole sorgenti presenti intorno al paese da lui tanto amato, ma lasciato alla tenera età di dieci anni per approfondire i propri studi. Il padre, Antonio Alvaro, maestro elementare, aveva grandi progetti per i suoi tanti figli e Corrado, nel suo immaginario, doveva essere uno "scrittore".

L'acqua, come elemento di vita, elemento sacrale e di purificazione, rinfrescante, dissetante, salvifica e miracolosa, è uno dei temi più ricorrenti e cari alla memoria alvariana. Il radicato sentimento dell'acqua, il suo senso religioso e la nostalgia di essa come ricerca di un mondo perduto emergono continuamente dall'universo sommerso dell'infanzia, quella stessa a cui lui tornava spesso nelle sue opere con un profondo sentimento di rimpianto.

La donna con l'orcio è una metafora naturale e culturale della Calabria, come del resto lo sono i ragazzini, che si contendono il dominio di un rigagnolo, esplorandolo in tutta la sua lunghezza, notandone le diverse increspature, e immaginandovi paesaggi in miniatura, pieni di gorghi, cascate e banchi di sabbia sul fondo.

Nei tempi della sete, improvvisa ed inesauribile, l'acqua era l'unica salvezza: dovunque si cercavano le fonti, poste ai piedi delle montagne o disseminate per la valle; ogni anno i luoghi delle sorgenti cambiavano e la gente era costretta a vagabondare in cerca del "tesoro" nascosto. In tale frangente l'uomo si sentiva quasi come un groviglio di radici assetate, aspirando all'acqua, proprio come la stessa terra quando è arida.

Memorabile e simbolico, a tal proposito, è l'episodio narrato da Alvaro nel 1912 nella sua prima opera "Polsi nell'arte, nella leggenda e nella storia", in cui una donna incinta recatasi in pellegrinaggio presso la "Madonna della Montagna", in un momento di riposo, stanca ed assetata, dopo aver pregato la Vergine, vide apparire per incanto ai suoi piedi una fontana freschissima, quella che noi oggi conosciamo come "fontana della Pregna".

L'acqua per Alvaro è soprattutto il Bonamico, il ricordo delle donne che vi si recavano a lavare i panni, facendo il bucato con la liscivia, fatta d'acqua bollente e cenere, o dei bambini che vi trovavano sicuro sollievo e refrigerio immergendovi i piedi accaldati nelle afose giornate estive, o ancora l'odore di ginestra, così diffusa sulle sue rive e così utile a trarre filati per le giovani spose. Il paese non aveva l'acqua per bere e le stesse donne, come ci narra più volte Alvaro, andavano ad attingerla, con i barili in testa, in una profonda forra nei pressi del paese.

L'acqua che, d'inverno, cade ininterrottamente e ingrossa le fiumare, che tutto trascinano e distruggono, case, uomini, oggetti, animali, interi paesi, può però diventare anche un elemento distruttivo. Proprio nell'incipit di "Gente in Aspromonte", Alvaro ci consegna un'immagine della natura ostile a causa dei torbidi torrenti che corrono al mare e di una terra mobile che sembra navigare sulle acque. 

Nel suo giovanile scritto su Polsi, egli si sofferma inoltre su torrenti e frane che hanno caratterizzato la storia e la cultura del paesaggio di Aspromonte; le acque mobili hanno reso in Calabria mobili gli stessi paesi, difatti la stessa fondazione di San Luca è legata alla distruzione di Potamia in seguito ad una tremenda alluvione ed alla conseguente esondazione della fiumara, che indusse i potamesi a fuggire e a cercare una zona in cui vivere meno soggetta alle intemperie; la fiumara di Bonamico, infatti, malgrado il nome accattivante, ha sempre seminato tanti lutti durante le sue cicliche piene.

In "Un treno nel Sud" Alvaro così descrive il Bonamico: Quando è gonfio, le mule cariche conoscono i passaggi. Lo conoscono anche le donne che lo traversano a guado. Ma nelle case a valle si trema. Nessuno sa cosa riservi la montagna, nessuno sa quali distruzioni di boschi siano avvenute in montagna, né quali possano essere le conseguenze.

Il nomadismo delle genti di Calabria è stato, quindi, sempre esito di alluvioni disastrose; in una nota di viaggio del 1954 denominata "L'urlo del torrente" Alvaro racconta di disastrose alluvioni e parla del torrente come di un mostro perfido presente ben più del terremoto; descrive inoltre l'animo degli abitanti nei pressi delle fiumare, fortemente timoroso nel momento in cui le prime piogge ballavano sulle tegole delle casupole senza soffitto.

La corrente, nel suo letto di rotolanti pietre sonore, veniva, tra veglia e sonno, avvertita come l'urlo continuo di un cane, invocante tra squilli di campane. Per queste sue caratteristiche fisiche, la Calabria è dunque vista dallo scrittore come una terra dove tutto è provvisorio, incerto, precario e proprio per questo il suo popolo è costretto perennemente alla fuga, come un viandante errante senza meta. Era proprio così che si sentiva lo stesso Alvaro, eternamente in viaggio, ma col cuore, sempre là, nella sua amata terra natia: San Luca.

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