Dal mito alla scienza: La Porta di Esculapio, Dr Antonio Fiore, Bertoni Editore 2021
di Elena Murdaca
Dal mito alla scienza, la ricerca dell'eterna giovinezza ha sempre affascinato l'umanità, e di conseguenza, gli scrittori. L'invulnerabilità, la forza sovrumana, il desiderio di sconfiggere definitivamente vecchiaia, malattie e morte, sono aneliti che hanno ispirato l'esistenza dell'uomo in tutti i tempi e in tutti i luoghi a partire dai suoi albori. Aneliti che forse celano la nostalgia per il paradiso perduto, l'età dell'oro di un essere incorrotto e integro, come la Genesi tramanda.
La Porta di Esculapio, romanzo di Antonio Fiore, che affianca alla sua formazione e attività principale (medico-scientifica) quella creativo-letteraria, si colloca in un filone appartenente a più generi contemporaneamente, da quello storico a quello filosofico a quello fantascientifico (ma chi può dire con certezza, dove finisce la realtà e inizia la fantasia?), per quanto, per motivi di praticità sia stato classificato come thriller. Ripercorre la vicenda di Leo, ottantenne dotato di prodigiosa forza fisica, grazie agli esperimenti condotti su di lui negli anni '50 da ex-camerati in un laboratorio sotterraneo situato sotto una esclusiva clinica romana, la clinica Esculapio.
« Sì. Io ci sono stato, lì sotto. Credo di essere uno dei pochi a poterlo dire. Uno dei pochi che ne é uscito. Forse l'unico. Molti anni fa mi sono successe cose assai strane, al punto che a distanza di così tanto tempo, quando ripenso a quei fatti, mi chiedo se siano realmente accaduti e se i miei siano solo dei finti ricordi generati da una qualche forma di follia. Si svegliò per la seconda volta, sudato, percependo con l'orecchio sul cuscino il rumore del proprio cuore, i cui rintocchi gli scuotevano il torace. Sempre lo stesso incubo, pensò. Una cella, un aguzzino, una specie di confessione. Quando potrò avere pace? E` troppo tempo che vivo così »
Esculapio, il dio della medicina, semi-dio nato dall'unione della mortale Coronide e del dio Apollo, addestrato nell'arte della medicina dal centauro Chirone, aveva appreso a padroneggiare con tale maestria le erbe mediche, che era in grado di risuscitare i morti, motivo per cui Zeus ritenne opportuno fulminarlo, per impedirgli di arrogarsi prerogative divine in vita. Il solo modo per Esculapio di ottenerle fu quello di defungere ed essere divinizzato.
Ed è dalla clinica che parte il viaggio di Leo, per accedere ai sotterranei, viaggio a ritroso in uno spazio tortuoso e in un tempo doloroso, dove fra torture e test, ha conosciuto l'amore, l'esperimento nell'esperimento, l'unione di un superuomo e una superdonna, Silvia, che dà come risultato un frutto dal nome simbolico di Max. Mentre Leo sopravvive grazie a una fuga rocambolesca e alle qualità sovrumane acquisite, Silvia e Max resteranno per decenni nei sotterranei, a fare da cavie umane, fino al ritorno dell'eroe.
« I due che ancora vivono nel rifugio sono malati? »
« Si. Hanno entrambi, da circa un anno, una forma di leucemia cronica a lentissimo decorso. Il maschio, poi, sta andando incontro a una specie di psicosi, presumibilmente organica… sembra… che abbia iniziato ad avere dei comportamenti aggressivi dovuti a una modificazione di alcuni mediatori chimici in determinate aree del cervello ».
La narrazione è avvincente e ricca di colpi di scena, e gli spunti filosofico-etici profondi. La sperimentazione sull'uomo, con o senza consenso informato, per il bene dell'umanità in generale e per le tasche di pochi eletti in particolare, é argomento di scottante attualità anche senza necessità di sconfinare nel fantascientifico. I vaccini contro il Covid hanno dato adito a tutte le teorie complottiste possibili e immaginabili, ma l'episodio del Contenzioso di Kano (Pfizer vs Nigeria) é la prova concreta di quanto realismo ci possa essere nel romanzo di Antonio Fiore, anche senza risalire alle atrocità del notorio Dr. Mengele e dei suoi esperimenti sui gemelli omozigoti e l'iride umana.
Per quanto cruciale sia la riflessione sul tema trattato, il volume ha il merito di affrontarla senza appesantire l'animo e farlo sprofondare nella tristezza, nonostante l'inquietudine. La trama é fluida e coerente, e le quasi 400 pagine di narrazione si leggono con avidità, i tempi del racconto sono ben dosati, non ci sono passaggi troppo lunghi o prolissi, o, all'inverso, eccessivamente coincisi che impediscano di comprendere lo svolgimento dell'azione e di tenere presente il quadro generale. Una prosa pulita come ci si aspetta da un autore di formazione scientifica.
Di più: le descrizioni di personaggi e comparse sono precise come tratti di lapis, riflesso della passione delle arti figurative di Antonio Fiore. Funga da esempio il ritratto di Rachele Moretti, personaggio-chiave: « Non si poteva definire brutta, perché c'era una sostanziale armonia nei suoi lineamenti, che forse un tempo erano stati perfino graziosi. Tuttavia, da tanti particolari si poteva intuire che avesse del tutto abbandonato ogni velleità deduttiva, perché non c'era nulla di sensualmente attraente in lei: non un capello fuori posto, non un filo di trucco, nulla che consentisse di intuire un barlume di femminilità ». E ancora: « Era vestita col suo solito completo grigio giacca-pantaloni, sotto al quale indossava delle scarpe nere col tacco passo e con la punta quadrata. Da monaca, pensò Castelli, osservandole ».
Il simbolismo abbonda, dal nome della clinica, Esculapio, ai ratti che infestano il sottosuolo, e mentre i veri ratti sono vittime collaterali degli esperimenti, a subire il trattamento tradizionalmente destinato ai roditori, sono cavie umane che non sopravvivono (ad eccezione di Leo, Silvia e Max), al nome del gruppo XAB, il grande architetto del progetto, ispirato ai cavalli immortali di Achille, Xanthos e Balios. L'eroe Achille è nominato solo di passaggio, ma è di fatto l'obiettivo del progetto e Leo ne diviene l'alter ego: possiamo immaginare come sarebbe stato il Pelide a 80 anni se la freccia di Paride avesse mancato il tallone.
Il mito dell'eroe inattaccabile é di antica origine indoeuropea e si ritrova anche in altre culture, ad esempio quella germanica, nella figura di Sigfrido, che bagnandosi nel sangue del drago Fafnir, diventa invulnerabile, eccezione fatta per la spalla, coperta da una foglia. Il parallelo con Achille, immerso nelle acque dello Stige, il fiume dell'Ade che lo rende invulnerabile, ad esclusione del tallone da cui lo teneva la madre, è troppo evidente perché si possa trattare di casualità. L'immersione nel fluido magico - il sangue del drago, il fiume infernale - rappresenta l'equivalente degli esperimenti chimici dell'epoca.
Nel medioevo e rinascimento, tale leggenda si sarebbe evoluta nella ricerca della pietra filosofale e la distillazione dell'elisir di lunga vita, mentre dal romanticismo il Dr. Frankenstein e la sua creatura sarebbero assurti a simbolo della ricerca (fallita) della vita eterna.
Anche Vladimir Vojnovic, scrittore sovietico distopico, nel suo Mosca 2042, del 1987, dedica alcune pagine alla distillazione dell'elisir dell'eterna giovinezza e alla creazione dell'uomo nuovo sovietico, con toni satirici demitizzando la tensione verso l'immortalità.
Perché quella signora ha un nome cosi strano, Supik, domandai. Il professore rispose che Supik era il diminutivo del nome completo Super, e che non era né una donna né un uomo, ma nemmeno un ermafrodito.
« E allora chi é? » chiesi.
« Si tratta di un superman rivisitato ». … tirò fuori una fotografia: ritraeva un uomo nudo, vigoroso, che probabilmente dedicava molto tempo al culturismo. I muscoli gonfiavano la pelle, e in generale tutto l'aspetto dell'uomo trasmetteva una grande forza e un'enorme riserva di energia vitale. « è Supik prima della rivisitazione ».
Con un sorriso malinconico mi raccontò una storia tristissima. Supik era il primo verso successo del professore sulla via della creazione dell'uomo universale. Era un uomo perfettamente composto e armonicamente sviluppato… egualmente atto al lavoro fisico e a quello intellettuale,. In un istante eseguiva mente i calcoli matematici più complessi. Scriveva versi entusiasmanti, componeva musica geniale, e i suoi quadri andavano a ruba…. Negli sport compiva prodigi.
Con tutti questi pregi aveva un solo difetto: era troppo buono.
A Moscorep ogni risultato scientifico ma anche di altro genere, può essere riconosciuto solo dopo essere stato confermato dalla Commissione redazionale a cui Edison Senofontovic aveva presentato la sua creazione.
… venne fuori che il presidente aveva dormito per tutto il tempo. …In quel momento il presidente si svegliò e osservò che gli organi esterni di Supik erano troppo evidenti.
A cofa gli fevve? Domandò.
Edison Senofontovic si confuse e iniziò a spiegare che serviva per la continuazione della stirpe.
E penché continuavlo? commentò il Presidente. Non fe n'é bifogno. Che vefti solo. Folamente lui dev'effeve perfetto….
E ha castrato il suo povero Supik? Domandai orripilante.
« Si, il professore annui triste. L'ho proprio castrato. Che dirle? Certo qualcosa è rimasto. E' talmente coscienzioso. Lava le stoviglie, pulisce i pavimenti fa il bucato. Ma tutto il resto è sparito. In compenso, sa cantare con voce di donna.
Sull'elisir della vita eterna, Vojnovic è lapidario:
Dopo avermi tenuto questa breve lezione, prese il bicchierino con la rosa e mi chiese se non volessi assaggiarne.
Vorrei proprio vedere chi avrebbe avuto il coraggio di rifiutare. Ma bevuto quest'intruglio, compresi immediatamente che avrei preferito morire sul posto piuttosto che prolungare la mia vita a tal modo.
Il comune denominatore che collega le varie forme mitiche e artistiche in cui si esprime il tentativo di sconfiggere la morte é il fallimento: Achille viene ucciso da Paride, Sigfrido dai fratelli di Brunilde, il Dr Frankenstein dalla creatura che poi si suicida, Supik viene castrato.
Solo la fine di Leo è incerta. Ma la missione del medico a cui Leo affida i risultati degli esperimenti è chiara: « Spero che ormai ti sia chiara, professore, la ragione per cui ti ho cercato e coinvolto in quest'impresa. Tu sei uno dei pochi in possesso della competenza per studiare me e per esaminare i dati relativi a quelle ricerca comprendendo il modo per utilizzarli. Non certo per arricchire quei bastardi schifosi, ma per il bene della gente ». Le sopracciglia di Castelli calarono: Perché vuoi questo, Leo? Che ti importa dell'umanità? » Leo aspettò qualche secondo, prima di rispondere, pronunciando le proprie parole con grande lentezza: « Perché sarebbe l'unico modo per dare un significato alla mia vitae un senso a quello che hanno fatto a me, a quei poveri ragazzi, a Silvia e… a mio figlio. ». I due rimasero quale minuto senza parlare, ognuno immerso nei propri pensieri.