Arte e natura si incontrano: la creatività al fronte dei cambiamenti climatici
di Elisa Tommasoni

Negli ultimi anni sono aumentati gli episodi in cui attivisti ambientali, per lo più appartenenti a gruppi come Ultima Generazione, Extinction Rebellion, Just Stop Oil, compiono delle azioni di protesta prendendo di mira opere d'arte in importanti musei o località di tutto il mondo. In queste azioni vengono utilizzate torte, zuppe, vernici lavabili e colla imbrattando il vetro che protegge i quadri. L'opera d'arte viene colpita per la sua importanza, per la sua iconicità, colpendo l'arte si colpisce il meglio che il nostro passato ci ha lasciato in termini di valore culturale. Queste azioni di disobbedienza civile hanno lo scopo di far sentire la propria voce a musei e organizzatori di eventi culturali per chiedere loro di non accettare sponsor e sussidi da aziende legate ai combustibili fossili. Oltre a questo, c'è un altro messaggio sotteso: non c'è arte su un pianeta morto. Con queste iniziative gli attivisti vogliono provocare, smuovere le coscienze per far sorgere la domanda: "quale passato" lasceremo ai nostri posteri?
Oltre a queste azioni dalla forte connotazione di protesta, esercitate su opere d'arte già esistenti, l'arte contemporanea è in molte situazioni parte attiva e consapevole, anche se con molto meno clamore mediatico, del cammino di consapevolezza verso il rispetto per il nostro Pianeta e le sue risorse.
L'incontro tra arte e Natura, tra arte e ambiente circostante non è di certo una novità, e il richiamo va subito alla Land Art, neoavanguardia artistica che si è sviluppata tra gli anni Sessanta e Settanta: chiamata anche Envinronment art ("arte ambientale"). I tempi e la consapevolezza erano ben diversi e in questo caso la Natura era un ulteriore spazio da occupare oltre le gallerie e i musei. La Terra era vista come una grande tela. Non solo la Natura diventava complice e coautrice della creazione artistica tramite gli agenti atmosferici e gli incontaminati scenari naturali concepiti come immensi supporti su cui intervenire, in contrasto con l'opera d'arte come oggetto da conservare in gallerie e musei. Inoltre, in tutto questo operare c'era la consapevolezza del carattere effimero dell'opera d'arte. Gli Stati Uniti con i loro immensi spazi furono lo scenario ideale per la Land Art, come artisti possiamo citare Walter De Maria e Robert Smithson. Anche in Europa ci fu chi lavorò con i grandi spazi, Christo, per questo artista importante fu soprattutto il rapporto con l'acqua.
Nel vecchio continente, gli spazi naturali da manipolare erano ben diversi rispetto all'America e questo si espresse con sensibilità diverse più intime e oggettuali. In Italia si manifestò, sempre nell'ambito delle ricerche degli anni Sessanta e Settanta con l'Arte Povera, l'attenzione era rivolta in particolare ai materiali e ai gesti. Artisti di spicco furono: Pascali, Merz, Penone, Pistoletto (celeberrima la sua serie Alberi).
Rispetto ai decenni in cui queste correnti artistiche si sono sviluppate il Pianeta ha subito cambiamenti radicali sintetizzati nell'espressione "Cambiamento climatico"; risultato di un complesso sistema socioeconomico in cui si è pensato soltanto al benessere materiale e alla crescita infinita dei consumi. Ora da più parti si chiede di invertire la rotta in maniera concreta e urgente, mentre di fatto stiamo andando avanti in maniera lentissima nel processo di riconversione ecologica, senza pensare alle disastrose conseguenze e senza tenere conto del motto della pioniera degli attivisti ambientali Greta Thunberg. "non abbiamo un pianeta B".
Come tornare allora ad un rapporto più armonioso con la Natura? Può, l'arte avere un ruolo in questo processo? Ogni settore produttivo si deve interrogare su come ridurre al minimo l'impatto ambientale generato dalle sue attività e il sistema dell'arte contemporanea non è esente da queste riflessioni essendo una grandissima macchina che produce eventi spostando opere e persone anche da un continente all'altro. Quali interventi sono possibili? A livello istituzionale è stata fondata la GCC (Gallery Climate Coalition) nel 2020 per affrontare l'impronta di carbonio del mercato internazionale dell'arte. A guidarla sono le stesse gallerie, che per questo scopo si sono organizzate e coalizzate proponendo suggerimenti concreti e fornendo dati precisi. Sul sito dell'organizzazione si possono consultare "carbon reports" generali oppure entrare nel dettaglio del proprio progetto inserendo in un "carbon calculator" dati che riguardano voli aerei, spedizioni delle opere, l'energia che si consuma in sede, il packaging, la stampa e altre informazioni che aiutano a misurare le proprie emissioni di CO2 nell'atmosfera, capendo anche quali sono i picchi inquinanti e come intervenire in maniera efficace con priorità e si possono quantificare fin da subito piccoli risultati. Nel 2022 è giunta anche in Italia con molti sostenitori. Collaborazione e innovazione sono le parole chiave di questo progetto. Il momento che stiamo vivendo è molto delicato e il mondo dell'arte si sta impegnando concretamente a fare la sua parte. Seguendo questa linea alcuni curatori, direttori di musei ed operatori culturali stanno inserendo queste tematiche come elemento di riflessione in mostre, rassegne e programmi pubblici.
Sono molte ormai anche le iniziative individuali di artisti visivi che hanno iniziato a parlare di clima nei loro lavori. Possiamo dire che si è passati da una coscienza estetica, come era per la Land Art ad una coscienza ecologica nel vero senso del termine; all'origine del loro operato c'è una consapevolezza della situazione grave che sta vivendo il Pianeta Terra e l'impegno a dare il proprio contributo per svegliare le coscienze ed avere un certo impatto sui comportamenti.
Alper Dostal, artista viennese, con il progetto digitale "Hot Art Exhibition" (2018) ha realizzato opere in 3D che riproducono celebri capolavori del passato e le rappresenta mentre si sciolgono letteralmente sul pavimento dei musei in cui sono conservati come conseguenza dell'innalzamento devastante delle temperature. Vedere questi famosi quadri che si liquefanno davanti ai nostri occhi crea senza dubbio un senso di spaesamento e impotenza.
Olafur Eliasson è un artista celebre per i suoi progetti su larga scala, presentati sia in musei che in spazi pubblici. La sua è una ricerca principalmente sulla percezione e sul movimento, in relazione allo spazio che ci circonda, sia in termini puramente spaziali che ambientali, per questo i fenomeni naturali sono al centro dei suoi interventi.
Ha dichiarato: "uso gli elementi naturali in vari modi, e il clima mi interessa molto. In particolare, cerco un modo per rendere la questione climatica tangibile. Sappiamo tutti che il problema esiste ma non agiamo di conseguenza. Perché esiste ancora questa discrepanza?".

Per la fruizione delle sue opere è fondamentale che il visitatore abbia un ruolo attivo. Un suo progetto che su tutti ha avuto lo scopo di far riflettere il pubblico sui danni ambientali causati dall'uomo con lo sfruttamento delle risorse naturali e l'inquinamento è stato: "Ice Watch" (2014), per cui fece arrivare direttamente dall'Islanda dodici enormi blocchi di ghiaccio, che lentamente andavano scongelandosi e sciogliendosi, con i quali invase la piazza del municipio di Copenhagen; progetto ripetuto nel 2015 nella piazza antistante il Pantheon di Parigi e davanti alla Tate Modern di Londra nel 2018.
Melissa McGill è un'artista americana che ha recentemente esposto il suo lavoro alla galleria Mazzoleni di Torino "Eridanus: The River Constellation", un omaggio alle acque del Po e un intento a richiamare la nostra attenzione sulla difficile situazione ambientale che anche il più grande fiume d'Italia, come altri ecosistemi sta vivendo. La carriera artistica di Melissa McGill ha 25 anni di esperienza dedicata ai corsi d'acqua (nel 2019 aveva presentato "Red Regatta", un progetto di arte pubblica nelle acque della Laguna di Venezia). La particolarità di questo progetto è stata conoscere e intervistare uomini e donne che costudiscono da generazioni i saperi necessari per riuscire a convivere pacificamente con il fiume Po, fonte di cibo, lavoro e via di comunicazione. Utilizza pigmenti naturali, per interagire con la moltitudine di dettagli delle rappresentazioni cartografiche storiche, i colori si muovono naturalmente sulla carta yupo prendendo il proprio posto come un fiume che scorre, creando un vero e proprio linguaggio dell'acqua. Il suo intento è anche quello di cambiare la narrazione che riguarda il clima per combattere la sensazione di eco-ansia del nostro tempo.
Un artista italiano che ha preso a cuore la questione ambientale è sicuramente Andrea Conte, in arte Andreco, artista che ha anche una solida base scientifica. Nel 2015 a Parigi, in occasione della Cop21, ha dato vita a Climate Art Project un progetto multidisciplinare tra arte, scienza e attivismo, ispirato alle più recenti ricerche sia scientifiche che sociali sui cambiamenti climatici. Lo scopo è molto chiaro: aumentare la consapevolezza sul riscaldamento globale e diffondere soluzioni basate sulla natura e le migliori pratiche per l'adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico. La peculiarità del progetto di Andreco è che nel portare avanti questa ricerca sulle tematiche eco-sociali l'artista sta anche a contatto con i movimenti e le lotte di base per non perdere di vista il centro della questione e non cadere facilmente nel greenwash.
In una dichiarazione l'artista ha affermato: "un artista può prefigurare altri futuri immaginifici e allo stesso tempo agire nel reale per cambiare il presente".
Tra i molti progetti realizzati in questi anni ricordiamo Dispaclement, una performance collettiva messa in scena a Bologna tra palazzo D'Accursio (sede del consiglio comunale della città) e piazza Maggiore nel 2020, che riflette sulla migrazione climatica e più in generale sul tema dell'acqua e del cambiamento climatico. Nel marzo 2021 invece è stata allestita un'Aula Verde nella valle dell'Aniene. Questo progetto è stato realizzato in collaborazione con l'Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri e CNR-IRET e descritto in un articolo su Nature. È insieme un'opera d'arte contemporanea e di giustizia ambientale basata sulla Natura e pensata anche come spazio per la socializzazione poiché prevede una performance dei cittadini; enfatizza il valore degli alberi nel contrasto alla crisi climatica e il loro effetto curativo sulle persone.
Anche la Street art è stata coinvolta nelle azioni di attivismo ambientale, e possiamo definirla street art rigenerativa. Si tratta di Hunting Pollution, un grande murales firmato da Iena Cruz (Federico Massa) su un palazzo di Roma, in zona ostiense. È stato realizzato con vernici naturali ed ecosostenibili, che riescono addirittura a purificare l'aria, con processo molto simile a quello delle piante con la fotosintesi clorofilliana. Viene raffigurato un airone posizionato su un barile di petrolio, simbolo della società dei consumi, da cui partono tentacoli, che, come il petrolio, si espandono e contaminano l'ambiente.
Altro artista italiano con un consolidato retroterra sui temi dei cambiamenti climatici è Stefano Cagol che tra febbraio e marzo 2024 ha realizzato presso il cortile di Villa Giulia (sede dell'ETRU Museo Nazionale Etrusco) in collaborazione con Camilla Boemio The Bouvet Island, si tratta di un'opera realizzata in alluminio piegato a mano, nella tonalità dell'oro, cosicché interagisce con la luce solare durante la giornata. Il titolo e la forma derivano da un luogo remoto e misterioso dell'Antartide, un'isola disabitata e incontaminata che è stata anche teatro di un enigmatico esperimento nucleare mai rivendicato da alcuna Nazione, simboleggiando il contorto rapporto tra progresso umano e integrità ambientale. Tra i progetti a tema ambientale dal 2022 Cagol cura il progetto We are the Flood. Piattaforma liquida su crisi climatica, interazioni antropoceniche e transizione ecologica del MUSE Museo delle scienze di Trento.
Oltre alle riflessioni e iniziative di singoli artisti non mancano progetti collettivi come Serra Madre inaugurato nel settembre del 2024. Da una vecchia serra è stato ricavato uno spazio di rigenerazione urbana; collocato nelle Serre dei Giardini Margherita, a Bologna promosso da Kilowatt, società cooperativa che gestisce gli spazi riqualificati delle ex serre comunali. Si propone come uno spazio culturale e come laboratorio di idee e creatività, la missione è ambiziosa: coltivare – letteralmente – un'immaginazione ecologica dove arte e scienza si intrecciano per delineare alternative più desiderabili per il presente e futuri più inclusivi.
Altre iniziative interessanti sono RICICLARTE e SCART. Sono progetti ecologici ed innovativi che si basano sulla volontà e l'impegno di ridare vita a materiali che diventano rifiuto. L'approccio di base è quello dell'urban mining, una simpatica espressione inventata per far riflettere sui materiali preziosi che possono essere estratti dai nostri rifiuti, proprio come se questi fossero delle miniere. Gli artisti che ne fanno parte prediligono materiali di recupero per la creazione delle proprie creazioni; si va dal vetro al legno, dalla ceramica al sughero, passando per i circuiti elettrici, l'onnipresente plastica e molti altri. In questo modo si va incontro ad una nuova concezione della Bellezza che può nascere anche dal vecchio, dal rotto, dallo scarto appunto.
Può dunque l'arte può cambiare il mondo? Sicuramente può avvicinare e sensibilizzare ed essere grande interprete del presente. La frattura che si è creata tra uomo e Natura è grande e ormai difficilmente rimarginabile. Le opere di questi e altri artisti sensibili alle tematiche ambientali sono piccoli ma significativi e concreti passi nella direzione di un agire collettivo consapevole riparatore nei confronti del nostro Pianeta.