Alla scoperta di un poeta aspromontano: Domenico Strangio
di Beniamina Callipari
San Luca è da sempre terra di poeti e di cultura, ce lo insegna Corrado Alvaro, scrittore neorealista di fama mondiale che tanti proseliti ha fatto: suo cugino Antonio Marando, brigadiere dei carabinieri e fine poeta dialettale, Padre Stefano De Fiores, mariologo, scrittore e ricercatore di successo, Fortunato Nocera ed Aurelio Pelle, ricercatori e scrittori eccezionali, studiosi del territorio, fortemente desiderosi di porre la cittadina aspromontana sotto i giusti riflettori, non quelli preferiti dai media nazionali, ma quelli che inquadrano la realtà con obiettività e corretto senso critico.
E poi c'è un talento che molti non conoscono, quello del poeta Domenico Strangio che, per ritrosia a mostrarsi, come dice lui stesso, o per paura di condividere le proprie emozioni, è sempre rimasto dietro le quinte, celando capacità ed attitudini poetiche eccelse.
Il suo, probabilmente, è quel pudore tipico di chi è "grande", ma si sente "piccolo" di fronte agli altri e proprio per questo è ancora più grande, per la sconfinata umiltà con cui si descrive e presenta i suoi scritti, senza sgomitare, con garbo e gentilezza infinite.
La penna di Domenico Strangio è delicata e profonda, una carezza sul cuore di chi ama la propria terra come la propria madre, come parte integrante ed imprescindibile di sé, un affresco ricco di nostalgia, di colori e di profumi della nostra bella terra aspromontana, ricco degli affetti presenti e passati, di quei luoghi dell'anima che anche lontani mille miglia ci appartengono e continuano a scorrerci dentro come il nostro stesso sangue.
Questa è "Antichi Ricordi" e davvero non poteva rimanere nell'oblio, perché merita di vivere di luce propria e di incastonarsi nei cuori di tutta quella gente di Calabria e non solo che di notte sogna il proprio angolo di cielo, di mare e di montagna e lo incide per sempre nelle profondità della propria anima, regalandogli l'eternità.
ANTICHI RICORDI
Venni al mondo
in una casa franata,
col pavimento di tavole tarlate
ai margini del paese
vicino agli orti ricamati
di olivastri e tamerici
di lentischi e canne.
Il paese era isolato
dalla fiumara in piena;
i tordi accompagnavano il mio pianto
e nella notte mi fasciava d'oro la luna
assieme a mia madre
dalle vesti ampie e nere.
I primi passi nella melma
dei vicoli fetenti
tra capre e maiali
tra asini e galline.
Il presente mi accompagnava
senza un passato e un futuro.
Nelle rogge ascose dei torrenti
al sole d'estate i bagni,
come verme vestito;
fichi di miele e uva regina
in quell'Eden svanito da tempo
come i miei sogni
nel cemento della prigione spoletina.
Ormai sono vecchio di anni
e di affanni trafitto
e quella casa dirupata
non c'è più;
i vicoli desolati
sono abitati da fantasmi
che mi tengono compagnia
nel mio andare al tramonto.
Più di allora oggi son libero
nel vento sferzante
tra le querce dell'altopiano.
E più non mi bagno
nelle acque dei torrenti
che non sanno dove sia il mare;
soltanto la musica dell'armonica a bocca
addolcisce il pianto
e culla il mio corpo stanco.
(Domenico Strangio)