Alla scoperta di un poeta aspromontano: Domenico Strangio

28.12.2020

di Beniamina Callipari

San Luca è da sempre terra di poeti e di cultura, ce lo insegna Corrado Alvaro, scrittore neorealista di fama mondiale che tanti proseliti ha fatto: suo cugino Antonio Marando, brigadiere dei carabinieri e fine poeta dialettale, Padre Stefano De Fiores, mariologo, scrittore e ricercatore di successo, Fortunato Nocera ed Aurelio Pelle, ricercatori e scrittori eccezionali, studiosi del territorio, fortemente desiderosi di porre la cittadina aspromontana sotto i giusti riflettori, non quelli preferiti dai media nazionali, ma quelli che inquadrano la realtà con obiettività e corretto senso critico.

E poi c'è un talento che molti non conoscono, quello del poeta Domenico Strangio che, per ritrosia a mostrarsi, come dice lui stesso, o per paura di condividere le proprie emozioni, è sempre rimasto dietro le quinte, celando capacità ed attitudini poetiche eccelse.

Il suo, probabilmente, è quel pudore tipico di chi è "grande", ma si sente "piccolo" di fronte agli altri e proprio per questo è ancora più grande, per la sconfinata umiltà con cui si descrive e presenta i suoi scritti, senza sgomitare, con garbo e gentilezza infinite.

La penna di Domenico Strangio è delicata e profonda, una carezza sul cuore di chi ama la propria terra come la propria madre, come parte integrante ed imprescindibile di sé, un affresco ricco di nostalgia, di colori e di profumi della nostra bella terra aspromontana, ricco degli affetti presenti e passati, di quei luoghi dell'anima che anche lontani mille miglia ci appartengono e continuano a scorrerci dentro come il nostro stesso sangue.

Questa è "Antichi Ricordi" e davvero non poteva rimanere nell'oblio, perché merita di vivere di luce propria e di incastonarsi nei cuori di tutta quella gente di Calabria e non solo che di notte sogna il proprio angolo di cielo, di mare e di montagna e lo incide per sempre nelle profondità della propria anima, regalandogli l'eternità.

ANTICHI RICORDI

Venni al mondo

in una casa franata,

col pavimento di tavole tarlate

ai margini del paese

vicino agli orti ricamati

di olivastri e tamerici

di lentischi e canne.

Il paese era isolato

dalla fiumara in piena;

i tordi accompagnavano il mio pianto

e nella notte mi fasciava d'oro la luna

assieme a mia madre

dalle vesti ampie e nere.

I primi passi nella melma

dei vicoli fetenti

tra capre e maiali

tra asini e galline.

Il presente mi accompagnava

senza un passato e un futuro.

Nelle rogge ascose dei torrenti

al sole d'estate i bagni,

come verme vestito;

fichi di miele e uva regina

in quell'Eden svanito da tempo

come i miei sogni

nel cemento della prigione spoletina.

Ormai sono vecchio di anni

e di affanni trafitto

e quella casa dirupata

non c'è più;

i vicoli desolati

sono abitati da fantasmi

che mi tengono compagnia

nel mio andare al tramonto.

Più di allora oggi son libero

nel vento sferzante

tra le querce dell'altopiano.

E più non mi bagno

nelle acque dei torrenti

che non sanno dove sia il mare;

soltanto la musica dell'armonica a bocca

addolcisce il pianto

e culla il mio corpo stanco.

(Domenico Strangio)

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